Liberalizzazione degli orari del commercio: progresso o regresso?

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La questione delle aperture domenicali da molti anni è al centro di furiosi dibattiti.

Dalla famigerata legge così detta “Salva Italia”del governo Monti, la grande distribuzione può contare su aperture di 24 ore giornaliere, per 365 giorni l’anno e non sono serviti ricorsi, leggi regionali in deroga e petizioni per cambiare la situazione. È dello scorso Maggio il pronunciamento della Consulta che ha indicato incostituzionali gli obblighi di chiusura festiva previsti della regione Friuli Venezia Giulia, accogliendo il ricorso della grande distribuzione contro la legge regionale.

La sinistra italiana difende a spada tratta quella che considera ideologicamente una questione di “progresso”.  Davanti all’ennesima strumentalizzazione della verità e delle parole vogliamo offrire alcuni spunti di riflessione:

- il tanto decantato progresso ad esempio prevede che le ore di lavoro diminuiscano. Se  un tempo si lavorava anche 16 ore al giorno, oggi per contratto non si superano le 40 ore settimanali in Italia, e in Francia dove sono 35 si propone di portarle a 32. Dai lontani tempi della rivoluzione industriale si è sempre cercato di apportare dei miglioramenti alle condizioni di lavoro, sia per quanto riguarda la sicurezza che per la qualità della vita. Perché mai ora dovremmo giocare al ribasso? Il progresso ha significato il riconoscimento degli straordinari pagati, il diritto agli scatti di carriera, le tutele per la maternità e molti altri vantaggi per il lavoratore, non dovrebbe prevedere certo turni estenuanti, richiami forzati, orari notturni e la riduzione del valore degli straordinari in busta paga. La ricattabilità, la flessibilità rispetto agli orari, la disponibilità costante, nella grande distribuzione non sono elementi di progresso, al contrario, sono un evidente passo indietro rispetto a diritti acquisiti.

- tutti i dati disponibili dicono che da quando sono iniziate le liberalizzazioni, i consumi nei centri commerciali non sono aumentati affatto, ma si sono semplicemente spalmati durante la settimana. Nel giro di pochi mesi i fatturati sono calati e la liberalizzazione degli orari e giorni di apertura non hanno portato a nessuna assunzione in più (motivo principale della legge contenuta nel pacchetto “Salva Italia”), anzi hanno prodotto il lievitare del capitolo “costi di gestione” nei conti economici di molte aziende della grande distribuzione.

Davanti all’evidenza dei fatti qualcuno ancora pretende di risolvere la questione  paragonando il centro commerciale ad un ospedale o ad una centrale dei vigili del fuoco, come se i centri commerciali fossero servizi “essenziali” allo stesso modo di quelli citati, dimostrando tutta la pochezza delle sue argomentazioni.

Anche in questo ambito l’attuale classe politica italiana ha legiferato per rispondere ai desideri di alcuni, non ai diritti della maggioranza. Negando la realtà dei fatti, pretende di farci credere che il progresso sia un valore assoluto, da inseguire e perseguire. Finge di ignorare che l’economia deve essere al servizio della persona e per il bene comune, in grado di difendere la dignità e i diritti fondamentali di ogni persona.

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