Gli Ebrei criticano l'ora di
religione. Ma in Israele pervade la scuola
Il presidente delle Comunità
ebraiche aveva chiesto il superamento dell'insegnamento
Da Roma Mimmo Muolo (Avvenire)
Non piace agli ebrei d'Italia l'ora di religione nelle
scuole statali della Penisola. Ma in Israele che cosa
succede da questo punto di vista? Prima di rispondere
alla domanda sarà bene precisare che nello Stato ebraico
le scuole sono suddivise in quattro gruppi: vi sono
quelle statali frequentate dalla maggioranza degli
studenti; quelle religiose statali, nelle quali viene
dato rilievo agli studi ebraici, alla tradizione e
all'osservanza; le scuole private e infine le scuole
arabe e druse nelle quali l'insegnamento si svolge in
arabo e viene data particolare attenzione a storia,
religioni e cultura araba e drusa.
Nelle scuole statali non esiste una vera e propria ora
di religione come in Italia. Tuttavia l'insegnamento
religioso non è affatto assente. Anzi, è uno dei più
importanti dell'intero ciclo di studi, ha piena dignità
curriculare ed è obbligatorio per tutti gli studenti
senza distinzione di appartenenza religiosa. Gli alunni,
alla fine di ogni ciclo di studi, devono sostenere un
esame anche per questa materia, come fanno per la
matematica, le scienze, la lingua e così via. I cicli di
studi sono tre: scuola elementare (sei classi, qui
l'insegnamento comincia dalla quarta), media superiore
(tre classi) e media superiore (altre tre classi).
Che cosa si insegna nelle scuole pubbliche, durante le
ore dedicate alle materie religiose? Innanzitutto la
Tanach, cioè la cosiddetta "Bibbia ebraica", che
comprende la Torah (il Pentateuco), Nevi'im (i libri di
Giosuè, Giudici, Samuele I&II, Re I&II, Isaia, Geremia,
Ezechiele e 12 Profeti Minori) e Ketuvim (Salmi di
Davide, Proverbi, Giobbe, Cantico dei Cantici, Rut,
Lamentazioni, Ecclesiaste, Ester, Daniel, Esdra, Neemia
e Cronache I&II). Gli studenti approfondiscono i testi
non solo sotto il profilo del significato religioso, ma
anche per il loro valore storico e letterario. Nei licei
si studia pure il Talmud, che consiste in una raccolta
di discussioni avvenute tra i sapienti (hakhamim) e i
maestri (rabbi) circa i significati e le applicazioni
dei passi della Torah scritta. E ci sono, infine, scuole
elementari dove è stato aggiunto il Siddur come
programma volontario (adottato, cioè, dopo una decisione
favorevole della commissione dei genitori). Il Siddur è
il libro delle preghiere usato dagli ebrei e contiene un
ordine delle orazioni quotidiane. Il programma mira però
solo alla conoscenza del testo. «In generale - spiega
Oded Ben Hur, ambasciatore di Israele presso la Santa
Sede - tutti questi insegnamenti non hanno finalità
strettamente religiose. Non sono cioè insegnamenti
confessionali, ma vengono svolti su base culturale e
storica, poiché trasmettono nozioni che sono costitutive
dell'identità del popolo ebraico».
Da questo punto di vista, dunque, è evidente il
parallelo con l'ora di religione delle scuole italiane.
Anche l'Irc, infatti, non è un insegnamento
confessionale, è ben distinto dal catechismo (che si
pratica in parrocchia) e mira invece a fornire agli
studenti quelle nozioni storico-critiche senza le quali
la gran parte dell'identità, della cultura, dell'arte,
della letteratura e della musica del popolo italiano
sarebbe incomprensibile. In Israele, però, non c'è una
sola ora settimanale, ma due, tre o cinque a seconda del
tipo di scuola. In quella statale religiosa vi sono
addirittura tre o cinque ore giornaliere, dato che il
programma comprende la preghiera giornaliera, Tanach con
commentari, tradizione orale (Mishnà, che raccoglie le
discussioni dei maestri più antichi, per le ragazze e
Talmud per i ragazzi) e la letteratura religiosa
ebraica. Insomma, ben più che un'ora. In uno Stato laico
e democratico. Come l'Italia.
[Avvenire -
Data pubblicazione: 05/07/2006]
http://www.db.avvenire.it/pls/avvenire/ne_cn_avvenire.c_leggi_articolo?id=662842&id_pubblicazione=34
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Dagli ebrei italiani stravagante proposta
Quel principio d'identità che di colpo non piace più
I fatti (e i numeri)indicano che il popolo italiano
ancora desidera che i propri figli sappiano cosa è la
fede che ha fatto la storia
Davide Rondoni
L'unione delle Comunità ebraiche italiane riunita a
congresso lancia un appello a cambiare una situazione a
suo dire «antistorica» grazie alla quale nelle scuole
italiane è possibile accedere all'insegnamento della
religione cattolica. E, raccogliendo gli applausi di una
parte del governo e di una parte dei media, sollecita
che si passi a un insegnamento di storia delle religioni
ecc ecc. La trovata non è né nuova né originale, ma
merita in questo caso una riflessione. Prima però
sgombriamo il campo da possibili equivoci. Insomma, di
che cosa stiamo parlando? Si tratta di un'ora
settimanale, a cui lo studente non è obbligato a
partecipare, dedicata all'insegnamento, in chiave
«storico-critica», della religione che ha dato forma per
secoli alla cultura europea e italiana. Non c'è nessun
obbligo da parte dello studente a partecipare a ore
dedicate all'approfondimento di che cosa è il
cattolicesimo. Ma (prima sorpresa forse per i detrattori
dell'ora di religione) oltre il 90% delle famiglie
desidera che i propri figli usino di quella occasione.
Le scuole, inoltre, possono offrire in alternativa
praticamente ciò che vogliono, ma i fatti (e i numeri)
indicano che il popolo italiano ancora desidera che i
propri figli sappiano cosa è la fede che ha fatto la
storia della nostra civiltà, e che nutre la pittura di
Caravaggio, le opere di Michelangelo, di Dante e di
Manzoni. Non si tratta di ore di catechismo, né di
proselitismo, né crediamo che come tali i ragazzi le
vivano (convertirsi con un'ora la settimana, e per di
più a scuola? suvvia...). Si può discutere su come tale
insegnamento si organizza, e occorre vigilare tutti
sulla qualità di queste ore di scuola, come sulla
qualità delle altre, magari. Ma gli amici della comunità
ebraica in discussione stranamente mettono un principio
che pure dovrebbero avere caro. A meno che quell'unione
delle comunità ebraiche, più che identificarsi per un
motivo di appartenenza e di identità dove civiltà e
religiosità sono indissolubili, sia divenuta solo una
lobby come un'altra, un sindacato di categoria o una
amabile associazione come potrebbe esserci, che so,
un'unione dei ghanesi d'Italia. Il principio messo in
discussione è anche quello della identità. Secondo
quanto previsto dagli ebrei italiani, e applaudito da
una parte di forze al governo, la scuola di un Paese non
ha il dovere di offrire (e in questo caso senza forzare
nemmeno all'obbligo) una visione dei fenomeni e delle
tradizioni che ne hanno maggiormente costituito lo
sviluppo morale, artistico e civile. No, la scuola
dovrebbe semplicemente essere il supermercato dove si
offre la conoscenza, inevitabilmente un po'
approssimativa, di tante tradizioni possibili. Come se
il ragazzo fosse una "tabula rasa", un banco su cui
mettere in mostra vari tipi di merce offerta. Siete
certi, caro Morpurgo, che sia questo un metodo educativo
adeguato a far crescere in consapevolezza critica i
ragazzi? Un metodo giusto per farli coscienti del
patrimonio dei loro padri, così da rinnovarlo, cambiarlo
o eventualmente rifiutarlo? Un ragazzo considerato e
coltivato come "tabula rasa", a cui si toglie il primo
appoggio che viene dalla tradizione, non è forse
maggiormente preda acritica di tutti i messaggi che
vengono dalla società e dalla cultura? E se il principio
della identità non vale più per l'aspetto religioso,
perché dovrebbe valere, che so, per la letteratura o la
geografia? Si offrano ore in cui il ragazzo può decidere
se studiare letteratura boliviana o cinese, no?
[Avvenire -
Data pubblicazione: 05/07/2006]
http://www.db.avvenire.it/pls/avvenire/ne_cn_avvenire.c_leggi_articolo?id=663026&id_pubblicazione=33
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