Eutanasia
in dieci mosse
Un
vero e proprio caso da manuale della cultura anti-vita.
La vicenda di Piergiorgio Welby - il malato di sclerosi
laterale amiotrofica che ha chiesto al Presidente della
Repubblica di legalizzare l'eutanasia - è un piccolo
capolavoro prodotto dalla ben oliata macchina da guerra
radicale. Ci fornisce un esempio perfetto delle "regole
di ingaggio" che caratterizzano l'infaticabile azione
dei profeti del nulla.
In questa storia ritroviamo gli ingredienti fondamentali
che permettono a un manipolo bene organizzato -
costituito da pochissimi politici e intellettuali - di
progettare, promuovere e portare a compimento la
trasformazione del senso comune di un'intera nazione
rispetto a un grande tema collettivo come quello
dell'eutanasia. Sono strategie che abbiamo già visto
usare con tragico successo nel caso del divorzio e
dell'aborto. Ora tocca al disegno diabolico che prevede
la trasformazione della morte da fatto naturale a
vicenda artificiale, programmata e pianificata dall'uomo
che si "autodetermina". Ecco come, in dieci mosse, la
cultura radicale è scesa in campo per vincere la sua
partita a favore dell'eutanasia.
1. Pietà
verso il caso umano
Il caso umano
serve a sconvolgere l'opinione pubblica: presentare un
volto concreto che si offre con crudezza alla
commiserazione della gente. Il caso umano deve
spaventare l'uomo della strada, porlo di fronte a una
situazione che gli appaia insostenibile. Portare gli
spettatori e i lettori a pensare: che orrore, se
capitasse a me. Bisogna usare un corpo umano per
disarmare l'opinione pubblica, ridurla al silenzio,
metterla in condizione di inferiorità psicologica.
2.
Apparente assenza della componente ideologica
I registi di
tutta l'operazione devono fare un passo indietro, si
defilano in una zona d'ombra del palcoscenico, pronti a
uscire allo scoperto al momento opportuno. I radicali
sono consapevoli di non essere simpatici a tutti. Sanno
anche che l'uomo della strada prova un sentimento di
istintiva diffidenza per i politici. Ecco allora che la
"battaglia per i diritti civili" diventa potente se è
combattuta da una vittima, fornita di una patente di
rispettabile normalità: la moglie maltrattata, la donna
violentata, il malato di sclerosi. Persone che parlano
non per interesse di partito, ma per far valere "un loro
diritto": quello a divorziare, ad abortire, ad essere
uccisi.
Basterebbe un po' di attenzione per accorgersi che le
cose non stanno proprio cosi, e che ad esempio Welby è
il co-presidente della Fondazione Coscioni. Quindi, un
uomo che fa politica in una organizzazione collaterale
al Partito Radicale. Ma quasi nessuno se ne accorge.
3.
Inquinamento del fatto religioso
In un Paese che
conserva ancora sentimenti confusi ma diffusi di
affinità al cattolicesimo,l'esibizione del crocifisso
appeso accanto al letto di Welby è un vero colpo da
maestro. Non dunque un ostile anticlericale ateo
professo, ma un più intrigante uomo attraversato da
dubbi e interessi per "le religioni". Il messaggio allo
spettatore medio è: guarda, noi non ti chiediamo di
abiurare la tua fede; puoi essere cattolico e volere
l'eutanasia. È la tecnica dello "svuotamento" della
fede, della sua riduzione a qualsiasi cosa, a
insignificanza.
4. Clericalizzazione
del problema
Il massimo che
il cattolico medio sappia esibire in queste discussioni
è spesso uno slogan del tipo: "come credente sono
contrario all'eutanasia". Una dichiarazione che va a
nozze con l'obiettivo del nichilismo radicale: mostrare
che in queste materie ognuno deve poter decidere in base
alle proprie convinzioni morali e religiose. Perfino il
bravo cardinale ottuagenario che, intervistato dal
tiggì, argomenta contro l'eutanasia ricordando il lavoro
delle buone suorine che assistono gli ammalati nel
vecchio ospedale della città diventa, nelle mani astute
dei radicali, un argomento pro-eutanasia: "che i
cattolici facciano pure i buoni samaritani; basta che
non ci vietino l'eutanasia". Siamo così giunti
all'anticamera della legalizzazione.
5. Complicità dei mezzi di comunicazione di massa
La lettera di
Welby a Giorgio Napolitano sarebbe anche potuta finire
in taglio basso a pagina 30 del Corriere della Sera. È
invece stata strillata sulle prime pagine di tutti i
quotidiani, e ha tenuto banco nelle aperture dei
principali telegiornali. I Radicali hanno ottenuto la
massima visibilità con il minimo sforzo. Del tutto
probabile che abbiano preallertato i direttori delle
principali testate, e verificato se e quando la notizia
avrebbe potuto sfondare il complesso meccanismo del
mercato della comunicazione.
6. Collateralismo
del sistema politico e istituzionale
I radicali
sapevano già con certezza che Napolitano avrebbe loro
risposto, e che in qualche modo il Presidente - post
comunista di gran classe - avrebbe fornito un appoggio
all'obiettivo primario dei profeti della dolce morte:
aprire un dibattito politico e parlamentare. Bisognava
obbligare i partiti ad ammettere che l'eutanasia doveva
entrare nell'agenda politica. E così è stato.
7. Consapevolezza della debolezza dell'avversario
I radicali sanno
benissimo che il loro avversario è, su queste frontiere
della vita e della morte, sempre più demotivato,
fragile, superficiale. Gli opinion leader - politici,
intellettuali, ma anche teologi, sacerdoti, catechisti -
leggono i corsivi sulle prime pagine dei giornali laici
e fiutano il vento che cambia direzione. Terrorizzati
dalla paura di perdere il consenso della loro base - gli
elettori, i colleghi, i parrocchiani - preferiscono
tacere. O nascondersi dietro formule ambigue del tipo "è
un problema complesso". Così, l'opinione pubblica
finisce con l'ascoltare solo la campana dei cattivi
maestri.
8. Elaborazione di falsi bersagli
I radicali sanno
benissimo che la società - come la natura - non facit
saltus. I cambiamenti verso la dissoluzione dell'ordine
naturale devono avvenire gradualmente. Ma per provocarli
bisogna fingere di pretendere tutto e subito. Così,
Pannella andrà in tv assumendo iniziative clamorose -
come ad esempio dichiararsi pronti a praticare con le
loro mani la dolce morte - e in Parlamento verranno
depositate richieste di legalizzazione "estrema".
9. Definizione occulta dei veri obiettivi
Nascostamente, i
fautori della cultura della morte avranno pianificato
con realismo gli obiettivi di breve e medio termine.
Nella fattispecie, lo scopo era quello di "spostare"
intere masse di uomini politici su una posizione di
pacifica accettazione del cosiddetto "testamento di
vita". Senza lo scossone del caso Welby, sarebbe stato
ancora possibile mettere in discussione le numerose
ambiguità di questo strumento. Invece, adesso, i
radicali hanno messo a segno il loro capolavoro,
ridefinendo lo scenario del dibattito: quelli che sono
"per la vita", i "reazionari", sono pronti a firmare
anche domani mattina una legge sul testamento biologico,
senza nemmeno verificare se così facendo si introduce
nei fatti l'eutanasia; gli spiriti liberi e progressisti
invece si battono per il diritto a morire.
10.
Annebbiamento dei criteri oggettivi di giudizio.
Bisogna
sgretolare le resistenze all'eutanasia solleticando il
ricorso alla decisione individuale: se io voglio morire,
perché lo Stato me lo deve impedire? Come se il compito
della legge fosse quello di assecondare sempre i
desideri del singolo. Nello stesso tempo, si deve fare
in modo che la morale sia spazzata via da un'unica
norma: fai quello che ti senti. Perfino la lettera di
Cesare Scoccimarro, 45 anni, stessa malattia di Welby,
che ha scritto a Napolitano per chiedere di continuare a
vivere, in questo modo è totalmente disinnescata. Uno
vuole morire, un altro vivere. Benissimo - risponde con
flautata tolleranza il profeta radicale - rispettiamo la
volontà di ciascuno. Con il che tramonta la possibilità
di distinguere il bene dal male, il giusto
dall'ingiusto, il delitto dall'atto lecito. Il punto di
vista soggettivo come misura di tutte le cose. Non è
solo una sconfitta della Chiesa: è innanzitutto la fine
della civiltà giuridica e il trionfo definitivo del
nichilismo radicaloide, assunto come sistema di pensiero
collettivo.
Mario Palmaro
[Il
Timone -
Data pubblicazione: Novembre /2006]
Fonte:
www.iltimone.org
email:
mario.palmaro@iltimone.org
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